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“Nina, oggi vengono i bambini delle scuole?”

“No, abbiamo rimandato perché in questo fine settimana ha piovuto!”

Mi dispiace non aver avuto questa mattina il nostro piccolo pubblico di nano scavatori che ti tempestano di domande, ma del resto sono felice di poter continuare il mio lavoro di consolidamento del mosaico che necessita di molto tempo e di molta pazienza. Siamo in dirittura di arrivo, è l’ultima settimana di scavo e questo lavoro di pronto intervento va assolutamente terminato.

Siamo già all’ultima settimana! Quando penso a quelle appena trascorse, le vedo come all’interno di un caleidoscopio: sono passata dal tenere un piccone in mano, all’interfacciarmi con dei bambini spiegando e mostrando loro gli strumenti utilizzati dall’archeologo, allo stare a piedi nudi sul mosaico intenta ad apprendere e mettere in pratica delle operazioni di pronto intervento. Quest’ultima un’occasione più unica che rara, dalla quale ho cercato di assorbire il più possibile. Un cantiere mutevole e dalle mille sfaccettature, questo per me è Vignale.

Essendo alla mia prima esperienza di scavo, qualche giorno prima della partenza ero un groviglio di timori, mi chiedevo se sarei stata capace, se si sarebbe rivelato il lavoro che avevo sempre immaginato e sognato di fare o se sarebbe stato solo una doccia fredda. Infine se, tendenzialmente asociale quale sono, mi sarei trovata bene con i miei colleghi.

Questa esperienza è stata edificante non solo dal punto di vista formativo e professionale ma ancor di più dal punto di vista umano. Partecipare a uno scavo archeologico è anche condividere la propria quotidianità con persone talvolta sconosciute ed essendo una persona introversa la cosa mi spaventava: almeno finché non ho conosciuto Francesca. Lei è una delle ragazze con cui vivo all’Antico Borgo Casalappi, una delle strutture che ospita noi archeologi. Francesca mi ha conquistato nel giro di pochi giorni: come? Prendendomi per la gola con piatti tipici friulani (il Frico); lavorando fianco a fianco per la pulizia del mosaico e stimolandomi così a dare sempre il massimo; riuscendo a strapparmi un sorriso anche nei momenti di stanchezza. Insomma, una persona sconosciuta è diventata un’amica in brevissimo tempo.

Prendere parte a differenti tipi di attività di conseguenza porta a far uscire lati di noi stessi che neanche conosciamo, fino a spingermi a pensare che in fondo “quei marmocchi” non sono poi tanto male: è stata una vera e propria soddisfazione essere riuscita a suscitare la loro curiosità. In alcune occasioni anche troppa, come quella volta quando uno di loro mi disse “bimba ma tu da grande vuoi fare le buche?”. Questi sono i casi in cui vorresti possedere il mantello dell’invisibilità per ovviare all’imbarazzo!

Tutte le immagini che vengono fuori dal vetro smerigliato del caleidoscopio in cui sto guardando racchiudono la mia idea di archeologia così come la vorrei vivere in futuro: un’archeologia a 360 gradi, che fa ricerca e riesce a coinvolgere e interessare tutti i tipi di pubblico.

La cosa al momento più gratificante è l’aver messo alla prova Federica, averle lanciato una sfida da cui ne è uscita più ricca che mai.

Federica Foresi

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One thought on “Attraverso il caleidoscopio di un’archeologa

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