Ogni sito archeologico ha una prima vita – quella in cui era abitato dagli uomini, dalle donne e dai bambini del passato – e una seconda vita, quella della contemporaneità , in cui i resti vengono riportati alla luce e diventano una parte dell’esperienza quotidiana di noi contemporanei.
La seconda vita di Vignale è per qualche verso “intermittente”, perché l’attenzione dei contemporanei si è accesa e spenta molte volte nel corso degli ultimi duecento anni.Vignale e i suoi mosaici fanno la prima comparsa nella contemporaneità intorno al 1830, quando, nel costruire la nuova via Aurelia vennero alla luce importanti resti di un edificio termale di epoca romana, decorato da pavimenti a mosaico.

Di quell’edificio (che pure è ritratto in una pianta redatta all’epoca dello scavo) e dei suoi mosaici si perse in seguito ogni traccia: le tettoie costruire per riparare i ruderi dalle intemperie vennero smantellate e la terra ricoprì il tutto.

Altri scavi vennero probabilmente compiuti subito dopo il 1860 e una carta topografica del 1863 riporta per la prima volta la denominazione “villa romana” in riferimento all’area di Vignale.

Oltre cento anni dopo, nel 1968, il campo fu sottoposto a una aratura profonda – la prima condotta con mezzi meccanici moderni – che intaccò profondamente le strutture antiche presenti nel sottosuolo. Le foto dell’epoca documentano il disastro.

Nel 1980 ca. un nuovo progetto di indagine archeologica condusse alla raccolta di reperti di superficie nei campi a valle dell’Aurelia moderna: su quella base si ipotizzò che la villa sorgesse in quell’area. Questa ipotesi sembra però smentita dalle ricerche attuali, che non hanno ancora individuato alcun resto di rilievo in quei terreni.
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